Antonio Bruscella - Marilena Saracino
La contemporaneità del Bello.
Antonio Bruscella e l’evoluzione instancabile della geometria del pensiero.
“L’arte non invecchia con me. Essa è lo strumento per fermare il tempo. Ogni perimetro che delineo, misura e circoscrive una porzione di tempo. E’ questo il vero elemento di sogno, in ciò sta “l’oniricità della Bellezza”.
Si esprime così Antonio Bruscella, artista del parallelismo sostanziale tra perfezione ed imperfezione, quando gli viene chiesto cosa sia e come funzioni l’arte, la sua arte.
Ma preliminare, per comprendere il suo modus operandi, è una domanda.
Cosa accade quando, per sbalzare tra l’asse del prevedibile e quello del sostanziale e del plausibile, si passi indiscutibilmente per un finale che è già traguardo?
L’artista cresce nella consapevolezza della direzione, della rotta da mantenere dopo aver intrapreso con la coscienza degli stolti e dei folli, una direzione.
Con lui maturava una voglia di distacco e d’eresia che resta celatissima ancora oggi, eppure si fa presenza costante in ogni contorno che Bruscella delinea, con l’intento forte di renderlo, più prima che poi, spazio cosmico di energia da recepire.
L’arte che migra ed in quanto tale muta e tramuta: quanti i messaggi, le provocazioni, le illusioni, gli impedimenti, i progetti, i progressi, le sensazioni che trovano in Antonio Bruscella la legittimazione.
A parlare sono la sua voglia di colore e di trasparenza, di pulizia, di una maschera impeccabile tutta da sporcare.
La tecnica, per il pittore delle forme perfette, è il recinto ideale. Ma egli non dipinge greggi da curare, o regole da non trasgredire, o ancora campi di battaglie mai combattute.
Antonio Bruscella delinea, con metodica precisione, quel “passo più in là” che sempre si immagina e quasi mai si percorre.
Lo traccia, lo descrive, lo racconta, lo tinge di quella luce fredda che vede e sente come sua. Ogni cosa che parta dal mittente ispirato deve essere rivoluzione, nel giungere, senza aggiustamenti di opportunità, al ricevente in grado di accogliere a sua volta una missione.
È qui che si disvela e cambia, in una incoerente metamorfosi, il mistero della solitudine dell’artista. Egli è timoniere della sua nave ma sceglie il vento: implicitamente dunque, seleziona una destinazione, e lotta, tenendo la rotta, per raggiungerla.
Ha imparato a disegnare Binari spaziali, a dare forma all’uomo del futuro, a colorare una serie infinita di boomerang, di ritorni del tempo alla memoria, mentre quest’ultima gli sfugge per scelta, lontana com’è, per la sua forza astrattizzante, da ogni forma di mymesis.
Dipinge regalità evanescenti, Bruscella, mentre deflagra ironicamente l’antico e il moderno.
Crea disorientamento visivo mentre cerca il confronto e la definizione di meccaniche che egli stesso definisce “divine”.
Usa il metro delle civiltà per misurare distanze che nella pandemia gli abbiamo visto dipingere come incubate ma quel che resta, che prevale e che incanta è la sua origine che ritorna, in un incontro simbiotico e propedeutico al bello, nella contemporaneità.
È ancora l’archeologia del silenzio che parla dell’oggi e lo fa nel tuono muto di geometrie cantatrici di liriche antiche.
Antonio Bruscella e la sua arte sono Geometria che sa farsi Poesia, oltre le assi convenzionali dello spazio e del tempo.
Dott.ssa Merisabell Calitri
Storico dell’arte
Info aggiuntive
Oltre le colonne d’Ercole.
Le trame di Marilena Saracino, artista del labirinto
Se Ulisse valicava per scelta il limite delle terre fino a quel momento
conosciute…
Se Penelope lo attendeva tessendo il suo tempo e disfacendolo,
fingendo che non fosse mai passato…
Se Arianna ricorda la strada per liberarsi dal labirinto e la segna con
un filo, e segue quel sentiero…
In un altro tempo, in altri luoghi, Marilena Saracino le cita e ne invoca
le volontà, rendendole redivive.
Ti ricorda Artemide eppure è un medico. Indipendente e felina come
una cacciatrice, eppure docile come sa essere chi conosce il concetto
della cura.
La vedi di spalle, disinvolta, chioma bionda e occhi profondi,
osservatrice, non perde di vista l’obiettivo.
È caparbia, ama il mare in maniera irrimediabile. Ed in qualche modo
lo rappresenta.
È creativa. Ama i colori pastello e ritrova in quelle tinte mai esatte ma
mai miscelate, l’armonia profetica di cui è solita riempire i suoi
respiri.
Succede poi, che i suoi respiri abbiano voglia di tramutarsi. Una
metamorfosi di materie.
A quel punto l’aria si fa filo, ed il filo si posa, controllato, si intreccia,
con mestizia e disegna, con quella solita voglia di perfezione e
simmetria, un sogno soffice che trasmette un messaggio immediato e
lampante.
Armonia, dal greco ἁρμονία «unione», «proporzione», «accordo»
altro non è che la concordanza tra elementi diversi che provoca
piacere.
Essa è riflettenza di suoni o assonanza di voci. È regolarità fantastica,
o egemonia dell’originale combinato a puntino, per stupire.
Bene, l’armonia, nelle opere di Marilena Saracino, si scontra,
impattante, con il bisogno assoluto di tradurre in “res”, in “cosa”, un
pensiero. E quel pensiero è una trama fatta d’intese e di traduzioni di
concetti che il tempo e le contingenze dettano come monito
all’analfabetismo emozionale.
Ecco l’arte. Ecco il senso della creazione.
Marilena Saracino non sceglie tele e colori ma strutture metalliche di
base e fili.
Il suo stile è la composizione ed il colore l’alleato scelto per addensare
la profezia del labirinto.
In un mondo di domande, non dare le risposte ma suggerire la strada è
la risposta.
Ecco che il tema dell’impossibilità di rivelare l’irrivelabile è il
leitmotiv che guida e suggestione la mano meticolosa della dottoressa,
oculista.
“L’occhio dal quale la bellezza dell’universo è specchiata dai
contemplanti, è di tanta eccellenza, che chi consente alla sua perdita,
si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la
veduta delle quali l’anima sta contenta nelle umane carceri, mediante
gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le varie cose di
natura.”
Questo il pensiero di Leonardo Da Vinci che sull’occhio, sulla vista
quale primo senso, ci ha costruito una narrazione scientifica ed al
contempo emozionale.
Leonardo mise la vista al posto più alto della gerarchia sensoriale,
descrivendola come il mezzo più importante in nostro possesso per
comprendere gli infiniti meccanismi della natura, che fare da specchio
all’anima.
Ai suoi tempi l’ottica era ancora aggrappata alle false convinzioni di
Aristotele e Platone.
Ciò che si vede degli oggetti visibili è il colore che si trova sulla
superficie dell’oggetto osservato.
Ed ecco che se la superficie è il filo ed il concetto l’attesa, il tempo di
Marilena Saracino si delinea e si intriga, tessendo.
Un incrocio ed un incontro tra Penelope ed Arianna, tra chi tesse, sfila
e tesse ancora e chi traccia un percorso, trova l’uscita, la segna eppure
ama perdersi, perché quel Minotauro è come il mare.
È la tempesta che rende incantevole l’immobilità della quiete.
Ed ecco che anche Marilena diventa Aneliram, dove “Anel” è anelare,
ovvero aspirare ardentemente a qualcosa e “Ram” è la memoria
d’accesso a quel tempo tracciato, suggerito, indicato ma mai rivelato.
Perché il vero stile di chi inventa un nuovo modo per fare arte non può
essere nulla di solito.
Il genere di Marilena Saracino è l’armonia dissonante del labirinto.
Perfetta ma “confondente” e per questo ammaliante.
Affascinante come sa essere l’intrigo di fili color pastello che
s’avvolge su se stesso ed ‘organizza’, carezzandolo, quell’attualità
isterica, ‘antiemozionale’.
Dott.ssa Merisabell Calitri
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